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Image La speranza del trading: le criptovalute come piano B del Libano

La speranza del trading: le criptovalute come piano B del Libano

Timer12 minuti di lettura

  • Finanza

Secondo la Banca Mondiale, il Libano affronta dal 2019 una delle crisi economiche più devastanti della storia moderna. The Node di CoinShares si è chiesto quali possibilità possano nascere dalle criptovalute in un Paese con un’economia rurale. Saranno all’altezza del compito?

L’estate volge al termine, ma a Beirut l’aria è ancora calda, densa e pesante, impregnata dei gas di scarico delle auto e del ronzio costante dei generatori privati. La vita, caotica come sempre, è tornata a scorrere, lasciandosi alle spalle le brevi ma intense tensioni fra Israele ed Hezbollah che hanno segnato l’autunno 2024. È solo l’ennesima di una lunga serie di catastrofi: l’esplosione del porto di quattro anni prima e la crisi finanziaria del 2019, considerata dalla Banca Mondiale la peggior crisi della storia recente.

Dopo la thawra – la rivoluzione che nell’ottobre del 2019 aveva unito i libanesi di ogni setta e regione – il Paese è stato scosso dal crollo della valuta nazionale. La lira libanese ha perso il 98% del suo valore: se prima servivano 1.500 lire per un dollaro, ora ne occorrono 90.000. Non potendo soddisfare le richieste di contante dei clienti, le banche hanno cominciato a chiudere le proprie filiali una dopo l’altra. La Banca Centrale del Libano ha calcolato che, in questi anni, sono state chiuse quasi 300 filiali. Il PIL ha avuto un calo del 40%, mentre le perdite delle banche ammontano a circa 80 miliardi di dollari. A colpire è soprattutto la loro forte concentrazione a Beirut, una città in cui quasi tutte le poche filiali rimaste aperte si sono blindate dietro porte d’acciaio. Lungo l’autostrada che costeggia il mare, i cartelloni che un tempo pubblicizzavano prodotti di lusso oggi mostrano app di trading e piattaforme forex, promettendo un nuovo modo di fare soldi in un’economia ormai basata solo sul contante.

Proof of Revolution : LebanonA seguito del fallimento dichiarato a novembre 2019 dalla Banca Centrale – guidata per 30 anni dall’ex governatore Riad Salamé, uscito di scena nel 2023 – sono stati congelati circa 76 miliardi di dollari di depositi. “Negli ultimi trent’anni, una buona parte dei depositi di risparmio della popolazione tenuti presso le banche commerciali è stata gestita male o sperperata”, ha messo nero su bianco la Banca Mondiale nel report Public Finance Review del Libano del 2022. “È fondamentale che i libanesi comprendano che i pilastri su cui si reggeva l’economia dopo la guerra civile – l’economia della Seconda Repubblica – sono ormai crollati e non potranno più essere ricostruiti. È altrettanto importante che prendano coscienza che questo crollo è stato deliberato”, prosegue.

Non ne è uscita indenne nessuna categoria professionale. Medici, avvocati, poliziotti e soldati: tutti hanno visto i loro stipendi scendere sotto i 200 dollari al mese. “La gente è andata nel panico: o ha ridotto drasticamente il suo stile di vita, o si è affidata a schemi piramidali e soluzioni miracolose. Molti hanno scelto le criptovalute”, racconta Michel Haber, imprenditore libanese esperto del settore e CEO di Astrofi Tech, azienda specializzata in soluzioni digitali e marketing.

L’interesse dei libanesi nei confronti delle criptovalute era emerso già prima della crisi, tanto che, agli inizi del 2013, la Banca Centrale aveva emesso il primo ammonimento ufficiale di questo tipo nella regione, vietando a banche e uffici di cambio di eseguire transazioni in criptovalute.

 “Lo scopo”, spiega un alto funzionario della Banca del Libano che ha chiesto di restare anonimo, “era di evitare i rischi correlati all’estrema volatilità di questi asset. I prezzi salivano e scendevano senza controllo, e la gente rischiava di perdere patrimoni, capitali e risparmi senza neppure comprendere come funzionassero queste valute. Non essendo emesse né regolamentate da una banca centrale, non offrono nessuna garanzia”, ci dice il funzionario che incontriamo nel suo ufficio, nella sede principale dell’istituzione ad Hamra, un imponente palazzo dai sontuosi interni quasi rococò, memoria degli antichi fasti dell’élite finanziaria libanese. L’ammonimento della banca, tuttavia, non è bastato per rallentare la corsa alle cripto in Libano. Al contrario: con l’acuirsi della crisi economica e bancaria dopo il 2019, le criptovalute sono presto diventate parte integrante della vita quotidiana.

Comprare cripto come fossero sigarette

Nel giro di pochi anni, gli sportelli dedicati alle cripto si sono moltiplicati in tutto il territorio nazionale. Da Beirut alla valle della Bekaa e lungo l’autostrada costiera che unisce il nord con il sud del Paese, gli uffici di cambio come OMT, Wish Money e Bob Money hanno cominciato a offrire, accanto ai consueti servizi di trasferimento di denaro e di vendita di elettronica – o persino di sigarette – anche la possibilità di comprare, vendere e investire in cripto.

Proof of Revolution : LebanonIl caso del Libano racconta bene come le criptovalute siano diventate parte integrante della vita quotidiana di un popolo privato del proprio denaro. Dal 2019, con i limiti ai prelievi imposti dalle banche e il crollo della lira libanese, gli asset digitali si sono affermati sia come strumento di investimento, sia come mezzo di scambio, colmando il vuoto lasciato dalle banche tradizionali.

Mario Awad, quarant’anni circa, ci accoglie in tuta da ginnastica e con una pesante catena d’oro al collo nella sua vistosa casa bifamiliare al piano terra di un edificio residenziale nella periferia di Byblos, che è anche la sede del suo piccolo impero del trading. Opera nel settore dal 2017, e dal 2022 gestisce otto filiali in diverse città cristiane (Byblos, Batroun, Baabdah) in collaborazione con Binance.

Nella sua vita precedente, Awad – il “boss delle cripto” – gestiva una catena di negozi di souvenir, che ha utilizzato per lanciare la sua nuova impresa: “Qui si possono depositare e prelevare contanti. Non sempre si tratta di grosse somme, la maggior parte dei clienti effettua operazioni di 500, 1.000, 5.000 o 8.000 dollari. I nostri clienti principali sono i trader e le persone che acquistano un po’ di Bitcoin per i loro figli come investimento a lungo termine, e non per proteggersi quotidianamente dall’inflazione.”

Afferma di essere stato il primo libanese a introdurre le carte regalo Binance, che permettono di acquistare cripto in modo semplice e accessibile. Dice che i suoi uffici sono partner autorizzati di Binance, con cui da sempre intrattiene un rapporto di collaborazione diretta. Mentre parliamo, il suo telefono non smette un attimo di squillare. I clienti di fiducia non devono nemmeno passare in negozio: gli inviano l’ordine direttamente su WhatsApp tramite messaggio vocale, con una semplicità sorprendente. Gli importi negoziati durante la nostra visita non ci vengono rivelati.

Circa il 90% dei suoi clienti vive in Libano, ma Awad evita informazioni più approfondite. “Abbiamo migliaia di account Binance, ma non posso dirti il numero preciso”, afferma. La mancanza di trasparenza è una costante in tutta la conversazione. Nonostante la sua attività sia chiaramente legale, ammette che spesso viene percepita come un “affare losco” e per questo non abbassa mai la guardia. La sua casa è presidiata da due uomini della sicurezza, sette giorni su sette.

Come lui, tanti libanesi si sono lanciati, legalmente o meno, nel trading di criptovalute. Su un centinaio di uffici che abbiamo individuato in tutto il Paese (un numero sorprendente, se si pensa che il Libano è tre volte più piccolo del Belgio), molti si sono rivelati sedi fantasma o semplici caselle postali. Il mercato è instabile e in costante mutamento: alcuni operatori offrono corsi di formazione, online o di persona; altri svaniscono dopo pochi scambi su WhatsApp o Telegram, troppo timorosi delle possibili conseguenze per andare oltre.

La concentrazione più alta, però, si registra online. Instagram, WhatsApp e Telegram contano decine di gruppi di trading libanesi: alcuni autentici, altri delle vere e proprie truffe. Su Telegram molti utenti utilizzano Tornado Cash o mixer simili: servizi che “mescolano” i fondi provenienti da più portafogli per oscurare le transazioni e renderle praticamente impossibili da rintracciare. Questo metodo viene spesse pubblicizzato come un modo per “ripulire” i guadagni o proteggere l’anonimato, ma in realtà non fa che aumentare l’opacità di un mercato già scarsamente regolamentato.

Una zona grigia dal punto di vista normativo

In teoria, tutte le transazioni in criptovalute sono illegali perché aggirano le banche locali, le istituzioni finanziari e i portafogli digitali registrati nel Paese. “È vietato fare trading tramite conti correnti libanesi o società finanziarie e di intermediazione operanti sul territorio nazionale. C’è chi apre conti all’estero su piattaforme come Binance”, spiega l’alto funzionario della Banca Centrale.

Non condanna le criptovalute, ma insiste sulla necessità di regole severe “per prevenire abusi, riciclaggio e finanziamenti al terrorismo”. Auspica un “quadro normativo di ispirazione europea, che guardi al MiCA”. “La magistratura libanese è molto severa, perché sappiamo quanto sia importante per il Paese uscire dalla lista grigia del GAFI.”

Secondo il funzionario “circa venti persone si trovano attualmente detenute nelle carceri libanesi per aver effettuato scommesse online con criptovalute”. Alcuni caffè accettavano pagamenti in criptovaluta, che poi convertivano in dollari per ricaricare account di gioco d’azzardo, senza alcuna verifica dell’identità. “Questa attività avrebbe potuto generare introiti per lo Stato, ma è stata deviata altrove”,

osserva il funzionario, che preferisce non entrare nei dettagli ma ribadisce la sua posizione: “Al momento la norma è chiara: è vietato qualunque scambio in criptovalute, formale o informale.” In privato, però, ammette che il divieto non può reggere a lungo: “Solo riconoscendole potremo esercitare un controllo effettivo sulle criptovalute. Molti libanesi continuano a sostentarsi, seppur illegalmente, attraverso queste attività.” L’alto funzionario precisa che la Banque du Liban è attualmente favorevole alla creazione di una moneta digitale nazionale. Il modello previsto, spiega, “si ispirerebbe alla CBDC, un sistema regolamentato, dematerializzato e digitale sotto il contro dello Stato, ma non decentralizzato”.

La Banca Centrale sta valutando un quadro normativo, ma il compito è immensamente complesso: la digitalizzazione dell’economia richiede, innanzitutto, il recupero della fiducia del pubblico nei confronti delle istituzioni finanziarie. Secondo il funzionario “l’utilizzo di carte, assegni e bonifici è aumentato di oltre il 35% nell’ultimo anno”, ma riconosce che il divario resta profondo.

Proof of Revolution : LebanonNonostante questa sfida, i cittadini libanesi hanno ormai perso ogni fiducia nelle banche e nelle istituzioni finanziarie del Paese. “Le nostre istituzioni, quelle che avrebbero dovuto proteggerci, ci hanno tradito – pensano – quindi non ci resta che cercare altre strade”, racconta l’economista e docente universitario Jassem Ajaka, porgendo alcune banconote a un’anziana mendicante nel caffè in cui ci incontriamo. La disillusione aumenta la propensione al rischio.

 

Lo spettro delle truffe

Quando lo abbiamo intervistato un anno fa, Georges, ufficiale trentenne dell’esercito libanese, aveva un’opinione molto diversa sulle criptovalute. “Nel 2020, quando la lira è crollata”, ricorda, “volevamo tutti fuggire da questo sistema, trovare una via d’uscita da un Paese che stava cadendo a pezzi”. Come tanti altri giovani, anche lui si è avvicinato alle criptovalute, spinto anche dalla classica fear of missing out. Era un modo per ritrovare una parvenza di stabilità e mettere a frutto i pochi risparmi rimasti. “Alternavo mesi ottimi, in cui il portafoglio cresceva anche di dieci volte, ad altri terribili. Alla fine, non ce l’ho fatta.”

Come l’economista Jassem Ajaka, che descrive la comunità cripto libanese come un insieme di giovani esperti di tecnologie e di investitori facoltosi disposti a rischiare capitali che possono permettersi di perdere, Georges conclude: “In questo mondo guadagnano solo le “balene”, gli investitori con i grandi portafogli. I piccoli investitori non hanno alcuna probabilità di successo. Vince chi ha a disposizione informazioni riservate. Non esiste una vera analisi tecnica o previsioni affidabili.” Aggiunge, con una punta di amarezza: “Le criptovalute sono basate sul nulla. Per comprarle devi convertire soldi reali in token digitali, un po’ come trasformare qualcosa di solido in vapore. E, nonostante tutto, continuiamo a credere che siano il futuro.”

Entrando a Beirut dalla periferia nord, i muri lungo l’autostrada raccontano già questa storia. Sul cemento, i graffiti neri urlano frasi come: “BITCOIN È STATO LA MIA ROVINA” o “JAMES È STATO LA MIA ROVINA”. Sono le grida di chi è rimasto scottato dalla grande illusione delle cripto. Fra le truffe più grandi, una in particolare ha lasciato cicatrici profonde: Binance Fund. Un nome ingannevole, e il trucco stava tutto lì. Non aveva alcun legame con la piattaforma globale Binance, ma molti libanesi erano convinti che si trattasse di una sua filiale locale autorizzata. Il risultato? Uno schema piramidale in stile Ponzi che ha inghiottito quasi 300 milioni di dollari.

Il sistema era semplice, anche troppo. Binance Fund prometteva tassi d’interesse astronomici, un reddito mensile garantito e “zero rischi”. Gli investitori ricevevano “ricompense” mensili o giornaliere, pagate tramite circuiti paralleli come Western Union o MoneyGram. Circa 3.000 punti di scambio non ufficiali hanno registrato clienti in Binance Fund, in cambio di una commissione. Finché i soldi hanno continuato a girare, ci hanno creduto tutti. Poi, nel 2021, la piattaforma ha smesso di pagare. Silenzio. Nessun responsabile identificabile, nessun ricorso possibile. Una truffa che riportato alla memoria, con crudele somiglianza, il crollo del sistema bancario di due anni prima. Ma la cultura della truffa si è spinta anche oltre. Hanno iniziato a comparire inserzioni come questa: “Vendo il mio account per 5.000 dollari. Parto per l’estero e mi servono soldi.”

Il contante è sovrano, ma fino a quando?

In Libano, il contante regna sovrano. Non esistono carte di credito né bonifici, tutto ruota intorno al denaro fisico. Un’economia parallela che, con il tempo, è diventata l’unico sistema che ancora funziona in un Paese in cui lo Stato controlla ben poco. Con la crisi, caffè e negozi hanno cominciato a funzionare esclusivamente con denaro contante. Per Lamia Bissat, direttrice dell’Istituto di Finanza Pubblica Basil Fuleihan e consulente del FMI e della Banca Mondiale, questa economia ombra è ormai sotto gli occhi di tutti:

“È un’economia retta sul contante, invisibile allo Stato e che, naturalmente, non genera alcun introito per il fisco. Le entrate pubbliche restano irrisorie, nonostante alcuni indicatori mostrino dei segnali di ripresa. Il settore privato potrebbe aver recuperato fino al 70% della sua attività, forse anche di più, ma questa ripresa non si riflette nei dati fiscali o nei bilanci ufficiali. Il settore pubblico, infatti, è ancora allo sbando. I funzionari statali hanno lasciato il loro posto, gli stipendi sono fermi al 25% del livello pre-crisi e l’intero apparato statale è paralizzato.”

Questo squilibrio strutturale ha trasformato il Libano in un’economia fantasma: un Paese che funziona senza uno Stato, paga senza un sistema e organizza senza un progetto. Il denaro circola, ma al di fuori del controllo del fisco e delle istituzioni. Le rimesse della diaspora, che rappresentano il 33% del PIL (pari a 6,7 miliardi di dollari secondo le stime della Direzione del Tesoro), ne sono l’esempio più lampante. I fondi arrivano in contanti o attraverso canali informali, bypassando completamente la Banca Centrale. “Esiste un canale quasi sconosciuto in Europa, ma molto diffuso qui”, spiega Michel Haber di Astrofi Tech. “Se sono a Parigi e qualcuno mi chiede se sto per tornare in Libano, spesso mi affida denaro da consegnare alle proprie famiglie. Le cripto rendono tutto più semplice.”

Ma con le criptovalute è emerso anche un sistema parallelo non rintracciabile. “I miei cugini mandano i soldi a casa su Binance tramite stablecoin, e io, per prelevarli, pago una commissione di appena il 2 o 3%, invece dell’assurdo 10% di Western Union”, racconta un utente.

Proof of Revolution : LebanonSecondo Haber, però, restare un’economia del contante significa non avere prospettive per il futuro. Da qui il suo appello a una transizione digitale regolamentata: “Oggi le nostre istituzioni non sono in grado di disciplinare la materia delle criptovalute. È per questo che sto creando un’associazione IT: un’iniziativa per mobilitare i talenti libanesi nel mondo e delineare una roadmap credibile per sostenere la Banca Centrale nella digitalizzazione e riduzione dell’uso del contante.”

La ricostruzione dell’economia libanese richiederà non solo una condizione di ritrovata stabilità nel Paese, ma anche la capacità dello Stato di monitorare i flussi finanziari, in modo da riscuotere correttamente le imposte e contrastare la corruzione. Grazie alla trasparenza della blockchain, questi flussi potrebbero diventare finalmente tracciabili.

Scritto da
Sarah Younan
Pubblicato il24 Ott 2025

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