
Bitcoin: il kit di sopravvivenza essenziale in questa guerra monetaria
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Ci troviamo a un bivio—un momento decisivo in cui la forza gravitazionale della storia monetaria torna a farsi sentire con potenza inequivocabile. L’ordine globale non sta evolvendo dolcemente; si sta spostando rapidamente.
Solo questo mese abbiamo assistito a segnali chiari: un ritorno agli asset duri con l’impennata dell’oro, seguito da Bitcoin, e un’erosione della fiducia nella più grande istituzione fiat del mondo—il dollaro statunitense—che porta con sé una ridefinizione dell’equilibrio geopolitico.
Pensiamo al Giappone. Da sempre roccaforte della repressione dei rendimenti e teatro delle acrobazie del carry trade, oggi si trova a fronteggiare il rimpatrio dei capitali. Gli investitori giapponesi preferiscono acquistare oro piuttosto che considerare l’idea di un bond governativo USA a 100 anni. Questo la dice lunga.
Il capitale che comprende il rischio si muove per primo. E in questo momento, si sta muovendo—decisamente—lontano dalle promesse cartacee straniere e verso valori domestici, duraturi e intrinsecamente solidi.
Da “The Art of the Deal” al declino dell’eccezionalismo americano
Il modello americano di dominio—basato su accordi discrezionali e pensiero a breve termine—si scontra con potenze come la Cina che operano su orizzonti temporali lunghi. Non devono preoccuparsi delle elezioni di medio termine. Pensano oltre i cicli politici, e le loro mosse lo dimostrano.
Gli Stati Uniti, nel frattempo, si sono ritirati dal loro ruolo di arbitro globale del dopoguerra. Con questo ritiro emerge una nuova forma di frammentazione: blocchi regionali di potere che sostituiscono il consenso globale. Cosa significa questo per il dollaro? Non è la fine del dollaro, come dicono i cacciatori di click sui social, ma è probabilmente la fine di questo dollaro: quello che conoscevamo come egemone, incontrastato, e strutturalmente dominante. È da decenni che si parla di potenze emergenti—ora si stanno concretizzando.
Per oltre settant’anni, il dollaro USA ha regnato sovrano—sostenuto dalla potenza militare, dagli accordi sul petrodollaro e dalla presunta stabilità delle istituzioni americane. Ma quel fondamento si sta sgretolando. Stiamo assistendo all’emergere di una nuova infrastruttura economica e finanziaria, che non ruota più esclusivamente attorno a Washington, Wall Street o alle ceneri di Bretton Woods. La politicizzazione della Federal Reserve, una gestione fiscale sempre più erratica e sanzioni unilaterali sempre più frequenti hanno spinto anche alleati storici a interrogarsi sul costo della dipendenza dal dollaro.
Cos’è una valuta globale?
Un sistema monetario adeguato si regge su tre pilastri: fiducia, stabilità ed efficienza. Come già detto, la fiducia si è logorata. Gli altri due dipendono dall’infrastruttura—una infrastruttura affidabile—che ormai non descrive più il dollaro USA alimentato dal sistema SWIFT. Perciò, il mondo intero è alla ricerca di un’alternativa. L’Europa è tra i primi a muoversi, anche se il suo orientamento verso una valuta digitale della banca centrale, fortemente influenzato dall’ex presidente del WEF, è sicuramente un errore che verrà ricordato.
Una risposta più sensata sembra arrivare dalla Cina: il Dragone Rosso sta costruendo metodicamente un proprio sistema operativo finanziario—ancorato al renminbi digitale—rafforzato dalla fusione tra finanza tradizionale statale e fintech iper-scalabili. Con le mosse per regolare il commercio internazionale in yuan digitali, lo sviluppo di sistemi di pagamento alternativi e l’accumulo di riserve auree, i Paesi BRICS si stanno preparando collettivamente per un mondo in cui il dollaro non è più al centro.
Un nuovo paradigma a cui territori come Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e gran parte dei partner asiatici della Cina si stanno preparando da decenni. Contrariamente a quanto molti pensano, la motivazione non è sempre ideologica—è anche pragmatica. Perché affidarsi a un sistema monetario controllato da una sola nazione la cui stabilità politica interna è sempre più incerta?
Tuttavia, la realtà è che costruire una rete economica resiliente non avviene dall’oggi al domani. Specialmente quando—anche all’interno delle nuove alleanze—i problemi di fiducia sono reali.
La vera guerra è sull’infrastruttura monetaria
La buona notizia per il resto del mondo è che oggi esiste un’innovazione neutrale, apartitica e “trustless” (che non richiede fiducia), di una portata simile a quella di Internet, in grado di rispondere a questa esigenza. È il momento di parlare di Bitcoin e del mining di Bitcoin. Oltre a essere utilizzato come riserva di valore, Bitcoin è una rete monetaria. Una rete trustless, sostenuta da una tecnologia specifica—la blockchain—che dipende da un’infrastruttura materiale: i miner di Bitcoin.
Per chi ancora non lo sapesse, è fondamentale capire che i miner di Bitcoin sono responsabili dell’elaborazione delle transazioni—e possono scegliere di non elaborarle, se il tuo profilo non è di loro gradimento. L’idea diffusa che il mining riguardi solo l’elettricità a basso costo o l’arbitraggio fiscale è sbagliata. Chi legge le notizie o le pubblicazioni di CoinShares lo sa: i governi si stanno svegliando di fronte a un nuovo tipo di corsa agli armamenti. Non più fatta di missili o petrolio—ma di hashrate: l’energia computazionale utilizzata dai miner di Bitcoin.
Garantirsi la potenza di calcolo del mining di Bitcoin equivale, sotto molti aspetti, a garantirsi l’autonomia e la sovranità finanziaria. Un Paese senza capacità domestica di mining rischia l’esclusione dalla rete finanziaria più sicura, neutrale e resistente alla censura del pianeta. È diventato un imperativo sovrano.
Lo Sceicco Tahnoun (TbZ) lo ha capito presto. Sotto la sua direzione, il fondo sovrano Mubadala di Abu Dhabi, insieme a GMX e G42, ha investito capitali significativi, sia localmente che all’estero, per assicurarsi accesso a capacità computazionali, compresa l’intera filiera del mining. Anche in Francia, i dialoghi strategici—seppur silenziosi—con il fornitore energetico nazionale EDF suggeriscono ambizioni serie a livello statale. Gli attori privati, che spesso anticipano l’innovazione, li hanno preceduti: da Blockstream a Tether, le aziende stanno investendo pesantemente nell’infrastruttura di mining non per guadagni a breve termine, ma per resilienza a lungo termine. Stanno acquistando accesso a una rete economica permanente, resistente alla censura.
Il mining di Bitcoin sta diventando ciò che il petrolio e i petrodollari sono stati: un asse di influenza, se non di potere. Un pilastro d’indipendenza. In questo contesto, la corsa all’oro digitale per “picconi e pale”—in questo caso chip ed elettricità—evidenzia il nuovo riassetto geopolitico.
Come possiamo vedere, la corsa all’hashrate non avviene nel vuoto: emerge insieme a uno spostamento più profondo all’interno di una guerra monetaria.